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  • Civinini, Guelfo

Civinini, Guelfo 1873-1954 (Nombre personal)

Forma preferida: Civinini, Guelfo 1873-1954

VIAF https://viaf.org/viaf/search?query=local.personalNames+all+%22Civinini%2C%20Guelfo%22&sortKeys=holdingscount&recordSchema=BriefVIAF CIVININI, Guelfo. - Nacque a Livorno il 1º ag. 1873 da Francesco e da Quintilia Lazzerini. Il padre, di origine pistoiese, esercitava una modesta attività commerciale che, poco dopo la nascita del C., trasferiva a Grosseto, dove morì tre anni più tardi lasciando la famiglia in precarie condizioni economiche. Dei sei figli erano sopravvissuti solo il C. e Ricciotto, che darà anch'egli prova di vocazione letteraria, scrivendo fra l'altro un romanzo, Gente di palude (Milano 1912), ambientato nella campagna romana più povera e infestata dalla malaria. Anche il territorio di Grosseto era zona malarica, e la città si trovava nel cuore di una natura in gran parte ancora selvaggia, dove erano numerosi bufali e cinghiali e cavalcavano i butteri. Questo ambiente ebbe un forte potere suggestivo sul piccolo C., segnandone il temperamento avventuroso e la sensibilità incline alla malinconia. Nel 1883 la madre, passata nel frattempo a seconde nozze, andava ad abitare a Roma portando con sé i due figli. Il C., proseguiti gli studi liceali ad Arezzo, dove ebbe per preside G. Chiarini, li concluse a Roma con la licenza. Presto trovò un impiego, che tenne però per breve tempo giacché era riuscito a inserirsi nell'ambiente giornalistico e letterario. Una sua novella, intitolata Gattacieca, ebbe un premio da una giuria in cui erano L. Capuana, F. De Roberto e G. Verga. Poco più che ventenne prese a collaborare a La Riforma, e successivamente a La Patria, al Travaso delle idee (allora quotidiano), al Giornale d'Italia, alla Tribuna, a L'Avanti della Domenica, spesso firmando con pseudonimi come "Accard", "Baccio Cellini" (che diventò "Baccellino" sul Travaso), "Muscadin", "Pilusky". Più tardi dirigerà per un certo periodo la rivista Vita italiana. Intanto si era sposato e gli era nata una figlia, che morì suicida a Roma nel 1929. A ventotto anni pubblicò la sua prima raccolta di versi, L'urna (Roma 1901), che lo collocava nell'area crepuscolare, per quanto in una posizione piuttosto appartata, lontana dagli esempi maggiori, pure con una produzione sensibile, di accenti delicati, dove è possibile rintracciare echi di poeti coevi, per esempio del Pascoli, come pure di D. Gnoli e A. De Bosis, mediatore quest'ultimo di un certo annunzianesimo. Di alcuni anni dopo sono le sue prime commedie: La casa riconsacrata (1904), Il signor Dabbene (1906), seguite poi da Notturno (1907), Bamboletta (1908), La regina (1910; ed. a Roma nello stesso anno), Suor Speranza (1911), Ius primae noctis (1912), Il sangue (1922; ed. in Comoedia, n. 11 del 1922), ripresa con il nuovo titolo Rancore (Milano 1948), Moscaio (1926), Rottami (1926; ed. a Milano 1929, che raccoglie i tre atti unici già citati Notturno,Moscaio e Suor Speranza), produzione che denota un notevole interesse per il teatro contemporaneo di cui e evidente anche la buona conoscenza della realizzazione scenica, in particolare dell'allora in voga "théâtre libre" di A. Antoine, commedie appartenenti al filone del naturalismo antiborghese. Il tradizionale elemento drammatico, legato ad una determinata problematica sociale, è nel C. temperato da un'ironia di più fine qualità. Si nota insomma, in qualche caso, un certo distacco anche dalla tematica convenzionale, come per es. in Notturno, che offre un quadro tipico della malavita romana, L'accoglienza del pubblico fu comunque discontinua e a distanza di tempo tali commedie conservano più che altro un vero valore documentario, di testimonianza storica. Maggior fortuna ebbe invece il libretto, scritto in collaborazione con C. Zangarini, per l'opera lirica La Fanciulla del West di G. Puccini (1910). È del periodo preparatorio del libretto la visita, nel 1908, in compagnia del musicista lucchese, al Pascoli, a Castelvecchio di Barga, ricordata nell'articolo La casa di G. Pascoli (in Corriere della sera, 24 sett. 1908; poi raccolto in Giorni del mondo di prima, Milano 1926, una serie di servizi giornalistici, parte dei quali relativi a vicende di guerra). Sempre nel settore teatrale il C. fu anche autore di una traduzione del Mariage de Figaro di Beaumarchais (Roma 1941). Per il Corriere della sera, dal quale era stato assunto nel 1907 come redattore e inviato speciale, aveva fatto, nel 1908, il resoconto della prima rappresentazione de La Nave di D'Annunzio.

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